13 gennaio 2016

The Hateful Eight, di Quentin Tarantino (recensione)

Come Federico Fellini, il buon Quentin Tarantino infila il numero 8 nel titolo del suo attesissimo ottavo film "The hateful eight" e festeggia il traguardo in compagnia degli amici più affezionati. 

Otto sono anche i protagonisti di questa storia ambientata nel selvaggio west che, per ripararsi da una imminente tempesta di neve, si rifugiano in una merceria nelle campagne del Wyoming. Si tratta di due cacciatori di taglie, in compagnia di una donna condannata a morte, un sedicente sceriffo di fresca nomina, un boia, un ex generale di cavalleria e altri due enigmatici personaggi.

Quasi completamente ambientata all'interno di questo rifugio, la storia di "The Hateful eight" si dipana nei lunghi e, come al solito, efficacissimi dialoghi. 

Pochissima azione, quindi, tante parole e molta crudeltà, in puro stile pulp. Verrebbe da dire che si tratta di un Tarantino teatrale, minimalista, ma a ben vedere gli elementi della sua "retorica" ci sono tutti: voce fuori campo, divisione in capitoli, flashback, musicalità del montaggio e tante, tantissime parolacce.

Un film che piacerà molto agli affezionati di Quentin, i quali non mancheranno di ritrovarvi elementi de "Le Iene" e "Jackie Brown", mentre potrebbero restare un po' delusi gli amanti del Tarantino delle grandi storie e dei miscugli di genere, come "Kill Bill" e "Bastardi senza gloria".

Anche se complessivamente siamo di fronte ad un piccolo gioiello, con dialoghi brillanti e attori tutti al massimo livello, c'è da dire che Tarantino non è Polanski, per cui di tanto in tanto la tensione non basta a tenere lontano lo spettro della noia.

L'epilogo, inoltre, non è di quelli che soddisfano appieno le aspettative e il sangue che scorre tra una parolaccia e l'altra è davvero tanto,ma è un film di Tarantino, cazzo! "Non è che vado al concerto dei Metallica e urlo 'Ehi, dite a quegli stronzi di abbassare il volume!'"


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