“Chiamatemi Francesco” è un film inchiesta. Un’inchiesta iniziata quasi due anni fa a Buenos
Aires, dove con Pietro Valsecchi prima, e con Martin Salinas poi, ci siamo messi sulle tracce di
Bergoglio. Il primo incontro è un aneddoto che vale la pena raccontare.
Avevamo fatto sapere in
giro che avremmo voluto incontrare persone che l'avevano conosciuto bene. Il primo a presentarsi
fu un vecchietto scattante: si diceva uno dei suoi migliori amici.
Mi porse una foto sbiadita. Una
classe di bambini di sei anni. Confusi tra decine di ragazzini, mi fece vedere lui stesso, e dall'altro
capo della foto Jorge, il suo caro amico.
"Abbiamo passato assieme tutta la prima elementare"
"E poi?"
"Poi basta"
"Come basta? Tutto qui?"
"Si vedeva già che era un bambino speciale, che sarebbe diventato un santo"
E si era sistemato sulla poltrona, sorridente, pronto a passare alcune ore nell'approfondimento di
questo breve ricordo, probabilmente falso.
Così ho capito abbastanza rapidamente che il rischio santino era dietro l'angolo.
Il personaggio che
smuove i cuori di cattolici e laici era già stato incasellato in un reticolo di luoghi comuni.
Per capire cosa raccontare, per mantenere una relazione onesta con il personaggio, senza esaltarlo
ne' ridurlo, ho dovuto scavare molto. Finché sono arrivate le prime illuminazioni.
"Jorge era un
uomo preoccupato".
"Jorge ha sorriso per la prima volta quando lo abbiamo visto diventare Papa".
Tutti indizi che andavano in un'unica direzione. Bergoglio è così oggi perché è stato in altro modo
nel passato. Ha avuto la fortuna di vivere una vita lunga che gli ha permesso di imparare, crescere,
evolvere. Una fortuna per lui, ma anche per un narratore che si era messo sulle sue tracce per
cercare di capire come mai quest'uomo oggi trasmette queste emozioni e perché sembra non aver
paura di nulla.
Non ha paura, perché è passato attraverso molti inferni e qualche purgatorio.
Questo non è un film religioso. È un film che racconta un personaggio che crede. E nel raccontarlo
sono stato dalla sua parte, ammirando e invidiando ogni sua scelta, cercando di mettere assieme gli
indizi, scrutando il suo volto durante omelie e interviste di "prima" della sua elezione, e infine
cercando di rispettare una verità - sia pure ipotetica - ma soprattutto le leggi del raccontare, che
impone il tentare di essere comunicativi senza barare.
Un cenno agli attori argentini, cileni e spagnoli che mi hanno seguito in questa avventura: ho avuto
un cast straordinario, che ha saputo sostenere la storia dando credibilità e umanità ai personaggi
realmente esistiti e a quelli che ho reinventato mettendo assieme più persone in un volto solo.
Fare questo film è stato un campo di battaglia nel quale ho imparato molto, conosciuto da vicino
persone incredibili. L'Argentina, dove le ferite sono ancora fresche ma dove circola una incredibile
energia, dove i problemi economici ogni giorno liberano energie per noi totalmente nuove. Non è
un caso che il rinnovamento della chiesa potrebbe venire dall'America Latina.
Per me è stato un onore scavare nelle radici di una persona che catalizza su di se l'energia di un
intero continente e dei suoi movimenti politici, religiosi, culturali.
Ha avuto la fortuna di vivere una vita che somiglia ad una narrazione.
Non tutti abbiamo questo onore nelle nostre vite.
Daniele Luchetti
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