Tranquilli, questa non è una sconcertante rivelazione su quello che non vi aspettate. I due finiscono con l’innamorarsi e stare insieme, niente colpi di scena o finali amari che fanno tanto commedia anni ’90.
Friends with benefits (il cui titolo inglese è ben più allettante della sciatta traduzione italiana, e se questo è il titolo, figuriamoci il doppiaggio) è esattamente quello che ti serve per rimpiazzare un cine-panettone con un panettone-USA-e-getta: crescendo di ritmo, battutine folgoranti, personaggi brillanti e copione all’altezza delle capacità interpretative (soprattutto quelle di Justin Timberlake, o almeno di quella parte di lui che non sia il torace).
Quel bel pezzo di ucraina della Milena Markovna Kunis fa vedere anche più fondoschiena che nel Cigno nero, e siamo tutti veramente contenti, fino a 3/4 del film, quando inizia l’inevitabile parabola discendente di tutti i fragili pilastri di una classica commedia americana leggera.
Nonostante le promesse della protagonista, ammesso che esista davvero qualcuno disposto a scaricarla, di sentimentale c’è parecchio, ma anche di realistico e riflessivo. Difficile crederci, chiaro, eppure, lungi dal rivelarci quale sia il segreto per far funzionare un rapporto, il film riapre la questione annosa che turba tutti coloro che negli ultimi anni inseguono l’utopia di un rapporto gratificante e autentico allo stesso tempo: si può essere solo amici con chi si trova attraente? E se uno o una ti attrae, è veramente solo amicizia? Fonti informate mi assicurano che non c’è niente di più rigenerante di un paio di braccia accoglienti che si lasciano andare ad un’intimità confortante e gratuita, e che sia possibile lasciarsi da buoni amici senza essere in realtà stati insieme. E sicuramente se a qualcuno è successo, vuol dire che è possibile.
Il guaio arriva quando uno solo dei due si innamora, cosa che per fortuna nel film succede ad entrambi… sospiro di sollievo. Immaginate dover invece raccontare la classica situazione in cui lei rinfaccia a lui quelle cose che un uomo non dice mai, ma che la donna capisce lo stesso, perché lei è donna, oppure il caso in cui lui ti usa per sfogarsi e poi non ti richiama neanche per dirti uno squallido grazie (e chi ci è passato sa cosa intendo)? Impossibile non impelagarsi in un’altalena di imbarazzanti sviluppi che sarebbe impossibile raccontare senza un vero regista, dei personaggi credibili ed una sceneggiatura degna di tale nome, ossia nel film del quale parliamo. Intanto, nel tentativo di rispondere all’ennesima profonda provocazione di questa ridicola commedia, mi sono ritrovata a commuovermi, ma non quando i protagonisti fanno l’amore, per la prima volta, senza trascendere in performance fini a sé stesse. Bensì quando, all’inizio della loro relazione sessuale, si sprigiona fra i due quella liberatoria franchezza con la quale iniziano a scambiarsi opinioni e segreti, a rinfacciarsi abitudini e fastidi, lati oscuri e semplici antipatie, tendenze e consigli sessuali, particolari intimi e tutti quei dannati piccoli episodi dell’infanzia, mai veramente superati.
Confesso che mi sono domandata: è colpa di un film osceno e artificioso, o è plausibile dover riconoscere che, nella realtà, quando due vogliono stare insieme cominciano a fare tutt’altro, e cioè a recitare un copione in cui ognuno pensa di interpretare quello che crede l’altra persona voglia? Quindi bisognerebbe saper essere sé stessi fino in fondo, per essere felici, e soprattutto, last but not least, sarebbe necessario che nessuno dei due tentasse di cambiare l’altro, perché se ci si è messo insieme ci sarà un motivo, senza il quale farebbe meglio a cambiare completamente partner. E bisognerebbe pure non rinunciare al proprio modo di essere, pagando un prezzo che spesso è troppo alto per comprare l’amore di una persona cui, forse, non hai mai fatto conoscere chi veramente sei. Perché per stare insieme, che siano amici, compagni, fidanzati o trombamici, il piacere deve essere quello di stare con chi ci piace. O no? E tutto questo rimuginare, in virtù della visione di un film ottuso, assurdo e insensato, che non avevo niente di meglio da fare che guardare.
Quel bel pezzo di ucraina della Milena Markovna Kunis fa vedere anche più fondoschiena che nel Cigno nero, e siamo tutti veramente contenti, fino a 3/4 del film, quando inizia l’inevitabile parabola discendente di tutti i fragili pilastri di una classica commedia americana leggera.
Nonostante le promesse della protagonista, ammesso che esista davvero qualcuno disposto a scaricarla, di sentimentale c’è parecchio, ma anche di realistico e riflessivo. Difficile crederci, chiaro, eppure, lungi dal rivelarci quale sia il segreto per far funzionare un rapporto, il film riapre la questione annosa che turba tutti coloro che negli ultimi anni inseguono l’utopia di un rapporto gratificante e autentico allo stesso tempo: si può essere solo amici con chi si trova attraente? E se uno o una ti attrae, è veramente solo amicizia? Fonti informate mi assicurano che non c’è niente di più rigenerante di un paio di braccia accoglienti che si lasciano andare ad un’intimità confortante e gratuita, e che sia possibile lasciarsi da buoni amici senza essere in realtà stati insieme. E sicuramente se a qualcuno è successo, vuol dire che è possibile.
Il guaio arriva quando uno solo dei due si innamora, cosa che per fortuna nel film succede ad entrambi… sospiro di sollievo. Immaginate dover invece raccontare la classica situazione in cui lei rinfaccia a lui quelle cose che un uomo non dice mai, ma che la donna capisce lo stesso, perché lei è donna, oppure il caso in cui lui ti usa per sfogarsi e poi non ti richiama neanche per dirti uno squallido grazie (e chi ci è passato sa cosa intendo)? Impossibile non impelagarsi in un’altalena di imbarazzanti sviluppi che sarebbe impossibile raccontare senza un vero regista, dei personaggi credibili ed una sceneggiatura degna di tale nome, ossia nel film del quale parliamo. Intanto, nel tentativo di rispondere all’ennesima profonda provocazione di questa ridicola commedia, mi sono ritrovata a commuovermi, ma non quando i protagonisti fanno l’amore, per la prima volta, senza trascendere in performance fini a sé stesse. Bensì quando, all’inizio della loro relazione sessuale, si sprigiona fra i due quella liberatoria franchezza con la quale iniziano a scambiarsi opinioni e segreti, a rinfacciarsi abitudini e fastidi, lati oscuri e semplici antipatie, tendenze e consigli sessuali, particolari intimi e tutti quei dannati piccoli episodi dell’infanzia, mai veramente superati.
Confesso che mi sono domandata: è colpa di un film osceno e artificioso, o è plausibile dover riconoscere che, nella realtà, quando due vogliono stare insieme cominciano a fare tutt’altro, e cioè a recitare un copione in cui ognuno pensa di interpretare quello che crede l’altra persona voglia? Quindi bisognerebbe saper essere sé stessi fino in fondo, per essere felici, e soprattutto, last but not least, sarebbe necessario che nessuno dei due tentasse di cambiare l’altro, perché se ci si è messo insieme ci sarà un motivo, senza il quale farebbe meglio a cambiare completamente partner. E bisognerebbe pure non rinunciare al proprio modo di essere, pagando un prezzo che spesso è troppo alto per comprare l’amore di una persona cui, forse, non hai mai fatto conoscere chi veramente sei. Perché per stare insieme, che siano amici, compagni, fidanzati o trombamici, il piacere deve essere quello di stare con chi ci piace. O no? E tutto questo rimuginare, in virtù della visione di un film ottuso, assurdo e insensato, che non avevo niente di meglio da fare che guardare.
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