Il "Los Angeles Web Series festival" è uno dei pochissimi festival al mondo dedicati esclusivamente alle web serie. E' un fenomeno ancora molto giovane e il business intorno a questa nuova forma di espressività (non è solo il mezzo ad essere diverso) è quasi tutta negli USA. Il LAWebFest a marzo 2011 vivrà la sua seconda edizione che, a differenza della prima, avrà tra le serie selezionate anche prodotti non statunitensi. Avrete capito che se ve ne stiamo parlando è soprattutto perchè tra le prime 20 webserie selezionate per il 2011 ci sono anche le nostre scemenze autostradali. Sono due gli episodi di Travel Companions che hanno destato l'interesse dei selezionatori californiani, si tratta di "Inception" e "Quo vadis?", forse a causa del loro vago sapore surreale o dei riferimenti cinefili azzeccati (anchye se in Quo vadis non ci sono bighe). Per ora Travel companions è l'unica serie italiana e se non fosse per la francese "News from m Marseille" sarebbe anche l'unica europea. Che dire... chi se lo aspettava?? Il motto del festival è "The web is the way". Che sia vero? Un grazie particolare a Vania Barbieri Morris e Maria Elena Napodano che hanno curato la traduzione dei sottotitoli degli episodi.
“Il mondo si divide in due categorie di diversa ampiezza... quelli che non hanno mai sentito parlare di Jan Švankmajer e quelli che hanno visto i suoi lavori e sanno di essersi trovati faccia a faccia con un genio” (Anthony Lane – “The New Yorker”).
Jan Švankmajer è tra i più grandi registi di animazione al mondo, maestro nell'arte dello stop motion è tra i principali esponenti del Surrealismo Ceco. Regista, pittore, scultore e poeta, mescola spesso tra loro arti diverse, i suoi film ci trasportano in mondi magici in cui tutto si anima. Questo numero di Moviement si occuperà, attraverso saggi ed interviste, dei vari aspetti che hanno reso unico questo grande maestro visionario, le cui opere hanno ispirato artisti quali Tim Burton, Terry Gilliam e i fratelli Quay. Il regista praghese è tornato in prima mondiale alla 67ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, fuori concorso, con "Surviving Life" “commedia psicanalitica” tra sogno e realtà. Dice Švankmajer: “La nostra civiltà non fa più affidamento sui sogni, dal momento che non possono essere capitalizzati”.
Perché? Ecco, mi piacerebbe avere qualche risposta. Perché? Perché un film che sfoggia un cast tanto costoso ha una fotografia e un montaggio indegni persino per una fiction televisiva? Perché si è scelto un plot scontato e scritto malissimo, con colpi di scena stra-telefonati? Quali santi hanno in paradiso gli sceneggiatori che sono riusciti a farsi pagare un tale scempio, che sarebbe stato scartato anche per un episodio del peggior Distretto Di Polizia? Perché il film sembra una collezione di spot (Ferrovie dello Stato, Città di Venezia, Hotel e Resort vari...) di pessima fattura? Perché gli attori italiani (Casagrande, Marcoré, Scarpa) hanno sempre dei ruoli di servitù (camerieri, portieri, sarti) nei confronti delle star ammmerigane fighissime, o al massimo da delinquenti (il commissario corrotto interpretato da un indecente Christian De Sica)? Si vuol far passare l’idea che l’Italia è inferiore all’America? Perché ho avuto l’impressione di assistere in sala a un brutto episodio di Don Matteo? Forse per il Frassica carabiniere? Perché, citando il grande René Ferretti, Angelina Jolie recita da cagna? E Johnny Depp è ai minimi sindacali di carriera? Forse non sono state pagate abbastanza le loro vacanze veneziane? Perché Rai Cinema ha sborsato i nostri soldi, quelli del canone che ci viene chiesto con tanto ardore ed insistenza, per un tale disastro? Perché Florian Henckel von Donnersmarck, regista del bellissimo e premiato (con l’Oscar) “Le Vite Degli Altri”, ha deciso di bruciare la sua carriera in questo modo? Forse il film precedente è stata una fortunata casualità? Ma, soprattutto, c’è un modo per riavere indietro i soldi del biglietto del peggior film che abbia mai visto a cinema?
Come Bennato nel 1980, anche Travel Companions, nell'attesa del debutto televisivo, esce su web con ben due episodi in contemporanea. Speriamo che almeno uno dei due vi piaccia. Anche stavolta, non si paga nulla... E tanti auguri!
Infatti, da giovedì 16 dicembre intorno alle ore 23,30 su GT Channel (risintonizzate il decoder) andrà in onda la puntata pilota della rivista di approfondimento cinematografico della Scuola di cinema Pigrecoemme. In questa puntata zero saranno ospiti in studio Gaetano Di Vaio e Fabio Gargano di Figli del Bronx e vedremo immagini tratte da Napoli, Napoli, Napoli di Abel Ferrara,Il loro Natale (altro titolo “ferrariano”), documentario di Gaetano Di Vaio presentato all’ultimo Festival del cinema di Venezia e Vomero Travel di Guido Lombardi, anch’esso presente all’ultimo Festival di Venezia nella Sezione cortometraggi.
Questa puntata e tutte quelle che seguiranno (a partire da Gennaio) saranno condotte da Rosario Gallone. A quanti volessero partecipare alla trasmissione con i loro cortometraggi, ricordiamo di scrivere a corti@gtchannel.tv per sottoporre il materiale.
KinemaZOne invita i quattro i suoi lettori a guardare The Others e fa i più calorosi auguri/inboccallupo/merda/breccallegga alla redazione del programma.
"Travel Companions Project", il lungometraggio più corto della storia, andrà in onda nella trasmissione Short Sories (ComingSoon Television) nel cuore delle festività natalizie. Ecco la programmazione
- Giovedi 23 dicembre ore 21,30 - Venerdi 24 dicembre alle 23:00; - Sabato 25 dicembre alle 1:00; - Domenica 26 dicembre alle 6:00; - Lunedi 27 dicembre alle 10:00; - Martedi 28 dicembre alle 15:30; - Mercoledì 29 dicembre alle 18:00.
Charles K. Quilty nasce in un piccolo paese del Country Clare irlandese, nel 1957. Figlio di madre italiana e padre irlandese, si trasferisce prima a Milano (1959) e poi definitivamente a Roma (dove tuttora vive) nel 1964.
Esordisce alla regia (ventitreenne) con un omaggio al cinema italiano di genere degli anni '60 e '70, un piccolo film di 4': "Golden Bullets". Stile e linguaggio delle successive esperienze di Quilty aderiscono alla poetica francese della Nouvelle Vague, ma se ne distaccano quasi subito (a partire da "Relax") per affrontare una strada del tutto personale, ancora oggi in fase di profonda rielaborazione ma sempre estremamente riconoscibile.
Charles K. Quilty (non ci sono notizie certe sull'origine e il significato della lettera "K") diviene presto famoso per i suoi film (quasi mai enormi successi al botteghino ma acclamati dalla critica di tutto il mondo); ma anche per la sua riservatezza. Soprattutto relativamente alle sue vicende familiari.
Appena dopo la fine della postproduzione dell' "Avventore", il suo terzo lungometraggio, nel 2003 Quilty subisce una grave tragedia personale e si chiude ancora di più nei confronti dei suoi fan e dei media. Irrintracciabile per anni, di lui non si sono più avute notizie fino ai primi mesi del 2010, quando con uno scarno comunicato stampa inviato ad un'agenzia irlandese la C(aoilte) Films annuncia la preparazione di "Habitat", ad oggi il suo quarto film.
Tutto ciò, sommato al fatto che esistono rarissime foto pubbliche del regista (che ha sempre controllato il marketing e l'immagine dei suoi film), ha contribuito a creare il mito di un artista solitario e schivo, concentrato sul suo lavoro e i suoi hobbies: la scultura, la musica e i suoi pesci tropicali.
Ed è proprio a metà del 2010 che un gruppo di cinque giovani registi coordinati da Federico Greco ("Stanley and Us", "Il mistero di Lovecraft") decide di affrontare il racconto per immagini di una variante possibile del percorso artistico ed esistenziale di Charles K. Quilty, mettendo in produzione (grazie al Cineteatro e alla Digital Room) il film "Quilty".
Basilicata 1964. A dodici anni Salvatore finisce in riformatorio a causa della sua divorante passione per il cinema. Una passione che lo spinge a raggiungere ogni giorno in bicicletta, insieme agli amici Alessio e Caterina, il paese vicino al suo per poter assistere ai film di una saletta di terza visione. Salvatore deve poi affrontare quotidianamente l’ostilità di suo padre, un contadino comunista che vede come fumo negli occhi la passione del figlio. Un giorno,l’annuncio della vendita di un vecchio proiettore 16mm fa nascere in Salvatore l’idea di creare un piccolo cinema. Il progetto però ha una falla: la mancanza assoluta di denaro. Salvatore acquista il proiettore sottraendo alle casse della locale sezione del Partito comunista i soldi raccolti tra i militanti per inviare una delegazione ai funerali di Togliatti. La felicità dei ragazzi dura poco: le faccende degli adulti, le beghe politiche del paese, andando a intrecciarsi con il loro ingenuo sogno, portano alla scoperta del furto di Salvatore.
Un giorno della vita è il primo lungometraggio del regista Giuseppe Papasso, documentarista e saggista (è suo il Dizionario del Cinema Italiano diviso per regioni). Dopo l'esordio nel 1987 con il documentario Berlino: il muro della vergogna, Papasso realizza per la RAI dei programmi sul cinema, come Film & Stelle con Anita Ekberg, Gina Lollobrigida, Claudia Cardinale, Stefania Sandrelli, Marisa Allasio. Nel cast del film, che uscirà nelle sale il 14 gennaio 2011, compaiono Maria Grazia Cucinotta, Ernesto Mahieux,Alessandro Haber e Daniele Russo.
E' un periodaccio davvero per tutti. Brutto tempo, insostituibili maestri che ci lasciano, crisi finanzialria, lavoro precario e incertezza Sul futuro. Anche i due eroi pendolari risentono del clima di preoccupazione generale e cercano di esorcizzarlo ritornando all'infanzia. Pare che funzioni, provate anche voi.
L'ultimo lavoro dei Jackal è un vero e proprio cortometraggio. Ultimamente i sei baronetti di Melito ci avevano deliziato con fake-trailer, finti spot pubblicitari e videoclip, ma ecco che ora, forti delle esperienze fatte, ci presentano la storia surreale (ma non troppo) di un duello tra due moderni cavalieri. Ritroverete in The washer i Jackal che conoscete. Citazionisti (pesino "The Horribly Slow Murderer with the Extremely Inefficient Weapon"), precisi e rigorosi nel montaggio e nell'uso degli effetti digitali, anche se un po' meno "sovversivi", ma questo è sintomatico e necessario in un percorso di maturazione che i Jackal hanno imboccato. In una recente uscta televisiva (Innovation su LA7) i Jackal hanno dichiarato di stare sperimentando linguaggi e tecniche cinematografiche per arrivare preparati alla realizzazione di un lungometraggio e credo che i tempi si stiano velocemente accorciando.
Il nuovo corto è sponsorizzato dal social media FanPage.it e vi invito a notare con quanta inventiva ed efficacia Francesco Ebbasta e compagni hanno inserito il prodiuct placement del marchio. Comimenti e tanto di cappello a tutti.
Non ho letto il romanzo “The Road” di Cormac McCarthy (vincitore del premio Pulitzer per la narrativa nel 2007) e me ne sono pentito. Soprattutto perché il film dell’australiano John Hillcoat me lo ha irrimediabilmente bruciato, porcazozza. La storia è abbastanza semplice: padre e figlio attraversano gli Stati Uniti d’America devastati da una catastrofe non meglio identificata per raggiungere la costa e il mare. Il padre è un Viggo Mortensen tanto bravo quanto antipatico, il figlio è un anonimo Kodi Smit-McPhee, e poi c’è la fugace apparizione di Charlize Theron (bella-bella-bella, qui anche produttrice) nel ruolo della madre.
La struttura è abbastanza classica: partenza in media res e spiegazioni (poche) con flashback; questi ultimi sono sogni dai quali ci si sveglia di soprassalto, soprattutto quando si tratta di ricordi felici.
Il romanzo, da quanto ho letto in giro, era praticamente una sceneggiatura già pronta, due minuti nel microonde e oplà. Il film che ne è risultato, invece, è lento (in questo caso l’aggettivo è usato nell’accezione negativa), scontato nei personaggi bidimensionali, già visto (non no voglia di citare i tanti film horror/sci-fi/post-apocalittici che sembra di rivedere), retorico (soprattutto nei dialoghi e nella morale). Il genitore protegge il bambino con la violenza e l’egoismo, il bambino invece tende la mano al mondo intero in segno di speranza, nonostante il cannibalismo dilagante. I paesaggi attraversati durante il cammino sono potenti ed evocativi (e sono pure il meglio del film), ma quando si giunge al capolinea si è letteralmente stremati. E parlo dello spettatore...