17 novembre 2010

Ultracorpo, di Michele Pastrello

di Ferdinando Carcavallo

Non mancherà di suscitare polemiche il modo in cui Michele Pastrello rappresenta in “Ultracorpo” la storia di un’ossessione omofoba, sia per la crudezza con la quale la fisicità della storia viene raccontata, sia per il riferimento cinefilo (il capolavoro di Don Siegel) che inevitabilmente accomuna la tentazione sessuale alla sostituzione fisica dell’identità.
Diversamente dal passato (32, Nella mia mente), Michele Pastrello ci racconta la sua storia usando al massimo le sue capacità di scrittura e di direzione degli attori. Il film è una partita a scacchi tra due esseri umani apparentemente agli antipodi ma più vicini di quanto non possa apparire. Vicini al punto di rendere inevitabile la collisione.
Due mondi cupi, in cui culto del corpo, sesso e fumo hanno la stessa funzione di alleviare il dolore di una vita vuota, si incontrano in in una sorta di gara per la sopravvivenza. Uno dei due mondi crede di poter entrare nell’altro (“Vedo chi ho davanti e se gli occhi sono quelli giusti so che posso entrare.”) ma si tratta di un tragico errore di valutazione.

Stilisticamente ineccepibile, come sempre, Michele Pastrello conferma con “Ultracorpo” di “stare fuori”.
Fuori da qualsiasi catalogazione (horror, thriller, noir…lasciamo perdere) e fuori da qualsiasi influenza politically correct nel trattare temi delicati.
Se con 32 Pastrello aveva usato il sesso per parlarci di un problema sociale (l’insostenibilità ecologica della variante di Mestre), con “Ultracorpo” fa praticamente il contrario e ci “reguardisce” sull’intolleranza sessuale attraverso la rappresentazione di un tessuto sociale economicamente precario.
Il photographer Mirco Sgarzi è sempre più scrittore di ombre che di luci. Ottimo.
Ad oggi il film non è stato sottoposto ad alcun festival e risulta inedito al pubblico.


www.michelepastrello.it

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