Stavolta il banale titolo italiano (in originale Surrogates) ha una motivazione cinefila in quanto si è voluto citare "Il mondo dei robot", film del 1973 del compianto Michael Crichton nel quale per la prima volta gli androidi venivaro rappresentati con aspetto umano, espediente geniale sia per il risparmio sugli effetti speciali sia per la possibilità di disquisizioni filosofiche sulla identificazione-sostituzione della macchina sull'uomo.
I replicanti di questo film di Jonathan Mostow (Terminator 3) non sono intelligenze autonome ma "semplici" repliche dei corpi degli umani (surrogati) i quali li guidano distesi in comode poltrone-console nelle proprie abitazioni, evitando tutti i rischi che una "uscita all'esterno" può comportare. Attraverso i surrogati gli uomini vivono lo loro vite al 100% ed anche oltre, ricevendo dalle macchine tutte le sensazioni positive (un sistema di sicurezza blocca quelle dannose) e decidendo il proprio aspetto fisico nel mondo.
L'idea del film (e della graphic novel di Venditti & Weldele dalla quale è tratto) è abbastanza interessante e originale, seppure con tutti gli evidenti riferimenti ad Asimov, Dick e il già citato Crichton.
Per tutta la prima metà del film l'idea di base dei surrogati (il termine replicante non mi pare venga mai usato) viene ampliamente sfruttata prima come metafora della cultura dell'immagine per poi diventare spunto di riflessione sul popolamento dei social network e le comunità virtuali (nella scena in cui i due coniugi sono rintanati nelle loro stanze mentre i loro surrogati litigano in cucina mi sono visto mentre chatto con mia moglie su facebook).
Ma siamo comunque in un film con Bruce Willis, per cui l'altra metà del film deve per forza essere un "uno contro tutti" senza esclusione di colpi, ma il percorso che porta il nostro eroe al colpo di scena finale (scoprire come e chi va in giro a uccidere surrogati e "operatori") è anch'esso una riflessione, magari un po' superficiale, sul ribaltamento dei ruoli buoni-cattivi.
Ma siamo comunque in un film con Bruce Willis, per cui l'altra metà del film deve per forza essere un "uno contro tutti" senza esclusione di colpi, ma il percorso che porta il nostro eroe al colpo di scena finale (scoprire come e chi va in giro a uccidere surrogati e "operatori") è anch'esso una riflessione, magari un po' superficiale, sul ribaltamento dei ruoli buoni-cattivi.
Un bel film, per niente un surrogato di sci-fi.
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