Nonostante tutte le promesse, il decreto sulla televisione varato ieri dal governo elimina di fatto qualunque obbligo di investimento e programmazione sul cinema e sulla fiction indipendenti italiani da parte dei network televisivi.
Mentre la già discussa legge Gasparri, all’articolo 44, prevedeva che le emittenti televisive riservassero “il 10 percento del tempo di diffusione, in particolare nelle fasce orarie di maggiore ascolto, alle opere europee degli ultimi 5 anni, di cui il 20 percento alle opere cinematografiche di espressione originale italiana ovunque prodotte” e di conseguenza induceva i network a impiegare le quote previste per gli investimenti nell’acquisto (o nella produzione) di opere adatte alle fasce di maggiore ascolto del palinsesto, l’attuale decreto prevede sì la diffusione di opere europee ma non stabilisce alcun parametro riguardo alle fasce orarie di ascolto né all’epoca di produzione delle opere.
Si scardinano così le condizioni che determinavano una ricaduta virtuosa delle quote di programmazione sul mondo della produzione.
Il decreto approvato stabilisce infatti solo che le emittenti televisive riservano il 10 per cento dei propri introiti netti annui “alla produzione, al finanziamento, al preacquisto e all’acquisto di opere europee realizzate da produttori indipendenti”. E solo successivamente afferma che “la percentuale di cui al presente comma deve essere raggiunta assegnando una quota adeguata ad opere recenti, vale a dire quelle diffuse entro cinque anni dalla loro produzione, incluse le opere cinematografiche di espressione originale italiana ovunque prodotte.”
In questo modo, non solo la quote della Rai viene abbassata dal 15 al 10 per cento, ma l’espressione “quota adeguata” rende di fatto discrezionale l’investimento da destinare alle produzioni europee indipendenti “recenti” cosicché, eliminato l’obbligo di programmazione “nelle fasce orarie di maggiore ascolto” previste dalla precedente legge, le emittenti possono rispettare il decreto anche diffondendo prodotto non “recente” e in qualunque fascia oraria (vecchi film nel cuore della notte).
In questo modo si vanifica quel dispositivo che, a fronte della concessione alle emittenti di un bene pubblico come l’etere per trarne enorme profitto privato, favoriva la produzione di opere di cinema e televisione al fine di trasmetterle in orari di grande ascolto. Ossia il dispositivo che aveva indotto i network a investire in fiction televisiva e cinema facendo da volano all’industria audiovisiva e portando al successo molti prodotti di qualità.
Come se questo non bastasse il testo rimanda a un ulteriore decreto da emanare entro nove mesi da parte del Ministro dello Sviluppo Economico e del Ministro per i Beni e le Attività Culturali, per definire cosa si intenda per “opere cinematografiche di espressione originale italiana ovunque prodotte” nonché “le quote percentuali da riservare a queste ultime nell’ambito della quota indicata” senza però precisare se questa riserva dovrà essere riferita a prodotto “recente” e lasciando intendere un possibile passaggio delle deleghe per il cinema dal Ministro della Cultura al Ministro dello Sviluppo Economico.
Il taglio di questi obblighi penalizza un settore fortemente colpito dalla crisi degli investimenti pubblicitari, rischiando di determinare un grave problema occupazionale.
Ancora una volta il conflitto di interessi, permette al Presidente del Consiglio di condizionare le politiche editoriali della Rai a vantaggio degli interessi di Mediaset. Se la Rai smette di proporre film e fiction di successo, Mediaset può sottrarsi alla competizione e risparmiare sui propri investimenti.
A causa di questo provvedimento, da oggi l’industria del cinema e della narrativa televisiva che negli ultimi anni ha generato cultura ed enorme ricchezza, prodotti di qualità e posti di lavoro, rischia di morire lasciando questo paese e i suoi cittadini più poveri e privi della possibilità di raccontarsi.