di Flavio Ignelzi
Per Pappi Corsicato, essere una specie di culto del piccolo cinema di casa nostra può avere i suoi pro e i suoi contro. I contro hanno a che fare con il fatto di rimanere confinato nella definizione (sicuramente approssimativa, ma non certo campata in aria) di Almodovar “de noartri”. Anche in maniera acritica e radicalmente sbagliata. I pro hanno a che fare con la possibilità di girare ciò che più aggrada, con la disponibilità di un buon cast tecnico ed artistico. Succede un po’ a tutti coloro che hanno idee ben precise e lottano per esse. Il regista partenopeo decide di affrontare il nuovo “Il Seme della Discordia” con il solito, notevole, carico di (auto)ironia e referenza verso i grandi classici degli anni sessanta. I quali, essendo grandi classici funzionano alla grande (by definition), specie se mescolati con due o tre botte di underground moderno per niente trendy, ma terribilmente cool. Colori ipersaturi, ritmo saltellante, dialoghi semplici ma spesso taglienti. E’ un film di donne: tutte determinate ed indipendenti, per quanto sempre (costantemente, immensamente) ‘femmine’ (con gonne e tacchi, come nei titoli di testa) e casalinghe (tra cucina e lavatrici). I maschi non ci fanno una gran bella figura: frettolosi, vuoti, poco attenti. Addirittura intercambiabili (i quattro figli della Ferrari con quattro mariti diversi) ed utilizzati a solo scopo riproduttivo, con lo stupro che non è poi così distante dal sesso coniugale. Alla fine, la bellezza abbacinante della Murino (soprattutto ricoperta di gigli) e un’incantevole estetica ‘pop’ riscattano una storia eccessivamente (e prevedibilmente) vacua ed un intreccio giallo praticamente inesistente.
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