di Ferdinando Carcavallo
I film di animazione costituiscono la perfezione del prodotto cinematografico. Nulla in un film di animazione può essere lasciato al caso (anche volendo). Ogni minimo particolare è definito a tavolino e realizzato nel migliore dei modi possibile. Inquadrature, recitazione, movimenti (virtuali) della macchina da presa, stacchi e tempi sono calcolati da un computer e quindi lo spettatore vede proprio quello che gli si voleva far vedere già dal momento della sceneggiatura.
Quando, dunque, un film di animazione non funziona non si può che imputare il problema all'idea stessa del film.
Il tentativo di umanizzazione, propria del cinema di animazione, in Bee-Movie (Dreamworks, 2007) è rivolto verso il mondo degli insetti, in particolare le api, animaletti da sempre spunto per la letteratura di metafore sulla brevità della vita, la dedizione al lavoro e la società matriarcale.
Questa versione CGI dell'Apemaja, pur non risparmiandoci suggestivi voli tra i grattacieli di New York - su percorsi già battuti da un altro super insetto di marveliana memoria - pone il fulcro della storia sull'innamoramento, improbabile per quanto poco sviluppabile dal punto di vista narrativo, tra un'ape operaia ribelle e avventuroso ed una introversa fioraia della Grande Mela.
Bee Movie pretende dallo spettatore una sospensione di incredulità troppo profonda e il quarto muro rischia spesso di crollare anche per mancanza di quell'ironia tipica dei cartoni e che in questo caso non va al di là della battutina con risate registrate da sit-com anni '90. Non basta la sottile metafora sociale - le api si rendono conto che il loro miele, frutto del lavoro di una vita, viene commercializzato dagli umani - a salvare le sorti di un cartone lungo e poco divertente.
I topi di Pixar sono davvero altra storia.
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