31 ottobre 2007

SMS (Sotto mentite spoglie)

di Ferdinando Carcavallo

SMS è il classico film di cassetta realizzato da un mediocre regista cinematografico che, fortunatamente, è anche un ottimo attore e autore comico teatrale. Abbandonati temporaneamente i fedelissimi compagni di merende Buccirosso, Paone e Casagrande, il buon Vincenzo Salemme fa gruppo con il toscano Panariello e il romano Brignano per conquistarsi un terreno meno regionale, e ci riesce bene, in termini di incassi. Una trama da boutade alla francese per una commedia in cui si ride soprattutto per la simpatia dell'attore p'rincipale, non certo per le situazioni non originali e francamente molto deboli dal punto di vista dell'intreccio.
Nulla da dire sull'aspetto tecnico del film, in quanto, come in passato, non è un elemento a cuore di Salemme. L'attore napoletano approda al cinema per fare cassa e sponsorizzare se stesso, in modo da raccoglierne i frutti in termini di presenze nei teatri e ingaggi televisivi.
Panariello, con tutto il bene che se ne può dire, non è una buona spalla. I due si dividono al 50% il ruolo di protagonista, come i compaesani Benigni e Troisi di Non ci resta che piangere, ma l'effetto non è certo lo stesso. In tutto questo divertente nulla-di-nuovo, spiccano però due chicche, ossia le interpreti femminili: Lucrezia Lante della Rovere ha ancora la freschezza di Speriamo che sia femmina, mentre Luisa Ranieri dimostra di essere a suo agio nei ruoli brillanti.
Da segnalare l'ultima inquadratura dei di dietro delle due attrici in bikini che si avviano al mare. Questa è l'unica scelta registica degna di un ringraziamento.
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28 ottobre 2007

Ratatouille

di Ferdinando Carcavallo

Queste mie riflessioni su Ratatouille sono indicate per chi ha visto il film (semplicemente spoiler).
I migliori attori della stagione cinematografica 2007 sono dei topi.
Questa è la straordinaria e dura ammissione che bisogna fare dopo aver visto Ratatouille, con lo stesso coraggio con il quale il critico culinario Ego scrive la sua ultima recensione sulla cucina di Parigi dopo aver preso coscienza della natura di roditore del cuoco più bravo della città, e che quindi il paradigma "chiunque può cucinare" è incredibilmente vero.

Ratatouille è un film sul sogno, sul superamento dei propri limiti, sulla tolleranza, sulla convivenza, sull'abbattimento delle barriere culturali e dei pregiudizi.
La folla di topi che prima saccheggia la cucina del ristorante e poi provvede alla sua riabilitazione (anche se temporanea) è una chiara metafora sulla immigrazione, sull'integrazione possibile tra popoli apparentemente diversi ma che potenzialmente possono collaborare e vivere in armonia. Un messaggio forse retorico e buonista, ma stiamo parlando di un cartone animato, un qualcosa che, sebbene sia diventato adulto come genere, è pur sempre roba da ragazzini. Ed in fondo giusto i giovanissimi possono fare tesoro di messaggi di tolleranza, purtroppo.
Sul passo avanti dal punto di vista tecnico che l'animazione di Ratatouille rappresenta rispetto al meraviglioso "Gli incredibili" è stato detto già molto, e non posso che sottoscrivere che il CGI è ormai cinema a tutti gli effetti
Il personaggio del cuoco per caso Linguini di origine italiana, impacciato e nasone, che si innamora della chef francese ricorda molto il Sergio Castellitto di Ricette d'amore (al quale Hollywood ha già dedicato un insipido remake con Catherine Zeta Jones).

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24 ottobre 2007

Il nascondiglio di Pupi Avati

22 dicembre 1952: in una cittadina dello lowa, una grande casa isolata, battuta dalle tormente di neve, è sconvolta da un terribile delitto. Cinquantacinque anni dopo, in quella grande casa rimasta chiusa per mezzo secolo, una donna di origini italiane decide di aprire un ristorante. È appena uscita dalla clinica psichiatrica dove è stata ricoverata per quindici anni in seguito al suicidio del marito, ed è decisa a costruirsi una nuova vita, ma non appena mette piede nell'edificio, i fantasmi del passato tornano a tormentarla. Sarà lei, sempre più in bilico tra ragione e follia, a dover fare chiarezza sui fatti oscuri accaduti tra quelle mura...

Questa è la sinossi del romanzo "Il nascondiglio" di Pupi Avati che in questi giorni la Mondadori distribuisce in tutte le librerie, ed è anche la trama del film che il regista bolognese ne ha tratto e che rappresenterà, senza dubbio, un grande ritorno dell'horror italiano.
Meno celebrato di altri maestri impegnati in lacrimosi epiloghi, Pupi Avati è stato per il passato un grande innovatore del genere, a partire dal giustamente celebrato "La casa delle finestre, che ridono" fino a "L'arcano incantatore" (1996), oltre al dimenticato "Zeder" del 1983.
La storia de "Il nascondiglio" ricorda molto le trame horror dei primi anni '80, primo tra tutti l'Aldilà di Lucio Fulci, ma anche gli stessi film di Avati in cui il tema "casa maledetta" ritorna molto spesso. Gli horror di Pupi Avati hanno quel sapore tipicamente italiano che ricordano le atmosfere padane di Gadda e Piero Chiara.
Il film girato in Inghilterra e destinato al mercato internazionale con il titolo The hideout, uscirà a novembre e nel cast compaiono Laura Morante , Treat Williams e Burt Young, con una piccola parte anche per Cesare Cremonini. Avati è uno specialista nel far venir fuori doti di attore da personaggi che non lo sono per mestiere (vedi Katia Riciarelli in La seconda notte di nozze).

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22 ottobre 2007

14 ottobre 2007

Il ritorno di 3Rose

Ottime notizie ci giungono da Francesco Moriconi. La prima è che il mitico podcast TreRose dedicato al cinema di genere italiano riprenderà la sua anomala (in quanto podcast...) programmazione alla fine di ottobre. La seconda è che è nato proprio da pochi giorni, sempre ad opera di Francesco, un fenomenale (questo lo aggiungo io) Enciblog sul cinema di genere, una sorta di schedario dei film più significativi del nostro cinema popolare degli anni '70 e '80 (ma non solo) aperto alla collaborazione dei visitatori.
Ultima ottima notizia , ma non la meno importante, è che pare sia quasi giunto a termine lo sfiancante lavoro sul libro dedicato alla saga di Watchman, la saga a fumetti di Alan Moore e Dave Gibbons per il quale Francesco ha realizzato una guida alla lettura di circa 700 pagine.

Le prime 11 puntate del podcast di 3 Rose, realizzate nel 2005 ed oggi disponibili sul sito www.tempimoderni.com, erano dedicate ad approfondimenti su film culto di svariati genere del cinema italiano degli anni '70. Le ultime tre puntate, invece, furono dedicate alla storia di Franco e Ciccio.
Francesco per il Podcast si è avvalso, e credo lo farà ancora, della collaborazione di Francesco Troiano, Franco Gattarola, Antonio Tentori e Paolo Albiero.

Quindi, diamo un grande "bentornato" a Francesco e corriamo a godere delle chicche del blog trerose.blogspot.com, nell'attesa dei nuovi Podcast.

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Un bel libro su Tim Burton

di Ferdinando Carcavallo

Quando si ama un regista si preferisce ignorare le opere che inevitabilmente ci hanno deluso. Così, aspettando di vedere Sweeney Todd, il film di Tim Burton che dovrebbe compensare la delusione de "La fabbrica del cioccolato", ripensiamo alle sue opere migliori come "Ed Wood", "Sleepy Hollow", "Batman" e "Mars Attack" e fingendo che "Il pianeta delle scimmie" e "La fabbrica del cioccolato" non siano mai esistiti.
L'encomiabile casa editrice Lindau ha pubblicato proprio da pochi mesi l'edizione aggiornata della monografia su Tim Burton del critico francese Antoine de Baecque. Il libro, oltre ad essere un biografia dettagliata della vite dell'autore, costituisce una vera e propria opera enciclopedica in cui vengono descritte le genesi dei film del regista americano. Io, lo confesso, sono andato a sbirciare direttamente il capitolo dedicato al mio burton preferito, ossia Ed Wood, e poi, soddisfatto dall'assaggio, ho ricominciato dall'inizio, come se si fosse trattato di un trailer. Oltre ad apprendere cose nuove sulla carriera del regista e sulla vita privata che inevitabilmente hanno influenzato le scelte artistiche, grazie al libro di De Baecque ho appreso particolari su quei film di Tim Burton che non mi sono piaciuti. Particolari che, certo, non hanno cambiato il mio giudizio, ma anzi mi hanno chiarito meglio proprio il perchè di una così grande differenza di livello tra un film ed un altro.

Ancora una volta, quindi, un libro Lindau è entrato a far parte dei miei libri da salvare e ancora una volta mi trovo a ribadire che Tim Burton è uno dei più geniali artisti del cinema di questo secolo.

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11 ottobre 2007

Grindhouse - Planet Terror

di Ferdinando Carcavallo

Diciamolo: Planet terror è il miglior film che Robert Rodriguez ha fatto, e probabilmente il migliore che potesse fare.
Il secondo capitolo (in ordine di uscita in Italia) del Grindhouse non è un nostalgico ammiccamento al filone splatter-gore-horror del cinema di serie B degli anni '70, bensì il suo manifesto postumo.
Tutte le esagerazioni, i paradossi e i colori forti che inevitabilmente saltano all'occhio (e allo stomaco) degli spettatori non hanno niente di caricaturale. Rispetto agli originali del periodo dell'exploitation il film di Rodriguez gode di una certa consapevolezza di appartenenza ad un genere che fa andare avanti il film con le spalle coperte, come a dire "chi può dirmi niente se il titolo del film è Grindhouse?".
E quindi ecco esplosioni di pustole zeppe di sangue, amputazioni di tutti i tipi, scioglimenti di carne umana, sparatorie e inseguimenti incuranti delle leggi fisiche, dialoghi con il limite di 10 parole a battuta, donne tanto belle quanto crudeli e tanto, ma tantissimo fuoco.
Inevitabilmente dobbiamo confrontare Planet Terror con A prova di morte (il capitolo Tarantiniano) e la prima cosa che ci viene in mente è che Rodriguez è stato molto più corretto nel seguire le regole del gioco rispetto all'amico Quentin. Di suo il regista texano ci ha messo davvero poco, mentre il collega non ha resistito alla tentazione di inserire i suoi soliti e splendidi ingredienti, realizzando, appunto, a pieno titolo il suo quinto film.
Alla fine dei conti, in una immaginaria proiezione in un grindhouse-theatre dei Queens nel 1969, penso che il pubblico avrebbe esultato più per il casino sfrenato di Planet Terror che non per i dialoghi cervellotici di Death Proof.
Inutile raccontarvi la trama, roba di zombi contaminati da un virus che lottano contro i pochi superstiti immuni.
Impossibile, infine, non citare il fake-trailer di Machete, il film finto (ma non troppo, pare che Rodriguez lo realizzerà) che racconta di un killer messicano pronto a vendicarsi di un tradimento spalleggiato di un reverendo dal mitra infallibile. Un piccolo capolavoro anche questo.

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Se Superman ha paura di volare, allora è Dylan Dog

di Ferdinando Carcavallo

Già da un paio d'anni, almeno, si parla dell'adattamento cinematografico di Dylan Dog ad opera di una casa di produzione statunitense che avrebbe assoldato Joshua Oppenheimer e Thomas Dean Donnelly per la sceneggiatura. Le ultime notizie riguardavano il titolo del film, Dead of Night, e il fatto che il nome dell'indagatore dell'incubo sarebbe stato cambiato in Derek Donovan, pseudonimo tra l'altro già utilizzato per la non felice uscita usa dei fumetti di Tiziano Sclavi.
Oggi arrivano altre notizie, la prima riguarda l'attore protagonista, che dovrebbe essere Brandon Routh, il Superman di Bryan Singer, mentre la seconda è sul nome del regista, ossia quel David R. Ellis noto ai più per le direzioni di Final Destination 2, Cellular e il cult Snakes on a plane.
Il budget di questo film è di 35 milioni di dollari ed è gestito dalla Arclight Productions, una casa di produzione non propriamente con il vizio del successo internazionale (guardfate il sito http://www.arclightprods.com/)
Il film sarà ambientato negli USA, e ciò rappresenta una deroga al fumetto ben più pericolosa del cambio del nome, in quanto la gran parte della caratterizzazione del fumetto Dylan Dog è legata alla sua origine britannica.
Speriamo bene.
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07 ottobre 2007

Grindhouse - Death proof (A prova di morte)

di Ferdinando Carcavallo

Esce nelle sale italiane il capitolo di Rodriguez di Grindhouse (Planet terror) quando in contemporanea arriva il Dvd del capitolo tarantiniano in una edizione doppia ricca di extra che farà gola ai fan statunitensi, per i quali esiste solo la versione unica con i due capitoli tagliati.
Ho aspettato fino ad ora di vedere Death proof (non per mia volontà) e la mia attesa è stata premiata.
Death proof è a tutti gli effetti il quinto film di Quentin Tarantino. Ridotte al minimo indispensabile le "tamarrate" digitali per invecchiare la pellicola (graffi, tagli improvvisi, audio fuori sincrono) che tanto mi avevano fatto insospettire nel trailer, il film è la perfetta continuazione di Kill Bill.
Auto-citazionismo (nel senso che cita se stesso e i film automobilistici), exploitation e gusto del vintage sono dosati ad arte e ben si sposano con le componenti tarantiniane. La logorrea e il turpiloquio prendono qui un sapore particolare. Le (splendide) ragazze del film sono particolarmente sboccate ma nei fatti hanno un approccio al sesso abbastanza pudico, per non dire bigotto. Si chiudono in macchina con i ragazzi per darsi "sei minuti di baci", raccontano di baci-da-dietro fenomenali e praticano l'astinenza per tenersi stretti i fidanzati. Probabilmente questo contrasto linguaggio-fatti è una parodia della censura tipica dei film del Grindhouse vero, dove si dicevano parolacce, si mostrava violenza e donne in abiti succinti ma sul piano sesso si rimaneva sempre sull'allegoria.

Nel complesso il film è tecnicamente sbaloditivo. Le sequenze degli inseguimenti in auto e degli scontri sono adrenaliniche più degli ingegneristici "Fast and Fourious" e le attrici sono tutte adorabili (compresa la spilungona Zoe alla quale nel Dvd è dedicato un bel capitolo tra gli extra).

Quando il film uscì nelle sale italiane si accese una bella polemica riguardo alla scelta tutta europea di dividere i due capitoli in due film separati inserendo scene tagliate nella versione uscita in USA. Alla fine dei conti, almeno per Death Proof, non credo che la cosa abbia fatto male. Non mi sembra di aver notato nessuna scena superflua.

Un film tarantiniano al 100%.

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01 ottobre 2007

Angeli con le ali legate

Angel è il nuovo film di Francois Ozon tratto dal romanzo di Elizabeth Taylor (la scrittrice, non la venere in visone) che la Teodora Film sta cercando di distribuire in Italia con tutte le sue forze.
E' un film indipendente e non americano e questo, a detta di Cesare Petrillo, è un grande ostacolo per far arrivare un film nelle sale italiane.
Ieri Petrillo si è sfogato sulle pagine del Manifesto, e credo dica cose interessanti.
Dateci un'occhiata sul Manifesto on-line.

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