di Ferdinando Carcavallo
Non è esatto dire che questo The Omen sia il remake dell’omonimo (in Italia Il presagio) film del 1976 di Richard Donner con Gregory Peck, piuttosto ne è il facsimile, nemmeno venuto tanto bene.
Non una parola, non una inquadratura del film di John Moore si discosta dal vecchio modello. Unici contenuti nuovi sono il prologo anti-italiano in cui Roma è dipinta come una città il cui traffico è la maggiore risorsa e gli incubi rivelatori dei genitori di Damien, che comunque ricordano sempre molto fedelmente altri film di genere.
La scena in cui Damien con lo skate (nell’originale era un triciclo) fa precipitare la madre dalla sedia è addirittura degna di un fine copista di quadri.
L’operazione di remake-anastatico ricorda quella di Gus Van Sant con Psycho, ma in questo caso non abbiamo a che fare con un classico da omaggiare, ma soltanto con una pigrizia intellettiva e una voglia di risparmiare senza precedenti (inizialmente il progetto prevedeva Harrison Ford ed Emma Thompson). Non voglio certo fare paragoni tra Gregory Peck e Liev Schreiber, ma l’impressione che si ha è che si è voluto fare un remake a bassissimo costo. L’uso del digitale, inoltre, ha reso meno verisimili le scene più terrificanti che avevano caratterizzato il primo film, come il prete trafitto dal parafulmine o la decapitazione del fotografo. La presenza di Mia Farrow – strategica in quanto evocativa di un (vero) classico come Rosemary Baby – è ridotta al minimo forse per questioni di cachet, ma sicuramente l’elemento più inquietante del film.
Insomma, per chi ha visto l’originale godersi questo film è impossibile perché il regista fa di tutto per fartelo ricordare e rimpiangere. Fino a pochi anni fa film del genere venivano fatti per la televisione e chiamati adattamenti o riduzioni televisive. Il fatto che oggi ce li ritroviamo nelle sale conferma la tendenza dei produttori a considerare il prodotto cinematografico come una cosa ibrida non con una precisa collocazione: televisione, cinema o Home Video sono solo canali alternativi per la distribuzione.
Non una parola, non una inquadratura del film di John Moore si discosta dal vecchio modello. Unici contenuti nuovi sono il prologo anti-italiano in cui Roma è dipinta come una città il cui traffico è la maggiore risorsa e gli incubi rivelatori dei genitori di Damien, che comunque ricordano sempre molto fedelmente altri film di genere.
La scena in cui Damien con lo skate (nell’originale era un triciclo) fa precipitare la madre dalla sedia è addirittura degna di un fine copista di quadri.
L’operazione di remake-anastatico ricorda quella di Gus Van Sant con Psycho, ma in questo caso non abbiamo a che fare con un classico da omaggiare, ma soltanto con una pigrizia intellettiva e una voglia di risparmiare senza precedenti (inizialmente il progetto prevedeva Harrison Ford ed Emma Thompson). Non voglio certo fare paragoni tra Gregory Peck e Liev Schreiber, ma l’impressione che si ha è che si è voluto fare un remake a bassissimo costo. L’uso del digitale, inoltre, ha reso meno verisimili le scene più terrificanti che avevano caratterizzato il primo film, come il prete trafitto dal parafulmine o la decapitazione del fotografo. La presenza di Mia Farrow – strategica in quanto evocativa di un (vero) classico come Rosemary Baby – è ridotta al minimo forse per questioni di cachet, ma sicuramente l’elemento più inquietante del film.
Insomma, per chi ha visto l’originale godersi questo film è impossibile perché il regista fa di tutto per fartelo ricordare e rimpiangere. Fino a pochi anni fa film del genere venivano fatti per la televisione e chiamati adattamenti o riduzioni televisive. Il fatto che oggi ce li ritroviamo nelle sale conferma la tendenza dei produttori a considerare il prodotto cinematografico come una cosa ibrida non con una precisa collocazione: televisione, cinema o Home Video sono solo canali alternativi per la distribuzione.
The Omen, John Moore, Mia Farrow, Richard Donner
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