30 gennaio 2006

Le cinque variazioni

di Ferdi Carcavallo

Mi ero sempre chiesto da dove fosse tratto quel particolarissimo disegno di un uomo che si fa la barba visibile un po' dovunque si parli di cinema. Oggi, finalmente, ho scoperto che quella immagine non è altro che una delle variazioni dell'essere umano perfetto di Lars Von Trier. Le Cinque variazioni è un non-film del 2003 che esprime alla perfezione l'odio - in quanto massima espressione dell'ossessione - del regista danese per il cinema attraverso il resoconto di un gioco perverso che Trier intraprende col conterraneo regista Jorgen Leth, autore di un suggestivo cortometraggio intitolato L'uomo perfetto, e al quale sottopone di rifare cinque riedizioni del film secondo direttive e vincoli che lui stesso impone, con l'obbiettivo di farlo cadere nella banalizzazione e distruzione del mito di quel piccolo gioiello di perfezione. Alla fine del gioco Trier conviene che il distacco che Jorgen Leth usa nel suo lavoro è davvero autentico, al punto che ogni volta che rielabora la sua opera, qualunque siano le condizioni e i limiti, riesce a far qualcosa di migliore.

Non credo di avere la preparazione culturale idonea a leggere il film con altre chiavi di lettura, ma ritengo che il gioco di Trier possa essere utilizzato oggi come paradigma per analizzare il contesto contemporaneo in cui, da Hollywood a Cinecittà, il cinema sta riguardando se stesso producendo un numero di remake oltre la soglia del sopportabile.

Se si prescinde dalle motivazioni economiche che un'operazione come un remake sicuramente soddisfa, sembrerebbe quasi che il cinema di oggi abbia con quello di ieri lo stesso atteggiamento di Trier con il filmetto di Leth. Un Peter Jackson che rifà King Kong o uno Spielberg che ambienta La Guerra dei mondi ai giorni nostri, sono forse anch'essi mossi dal desiderio di banalizzare e distruggere l'opera originale, o per lo meno a misurare quanto questa sia valida al punto da essere considerata perfetta.

Oggi stiamo facendo un'esperienza. Tra qualche giorno speriamo di comprenderla.



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29 gennaio 2006

Chiacchiere e sanguinaccio

La De Agostini fa uscire una collezione di film in DVD dedicata all'actor maximo del cinema mondiale Mr. Bob De Niro. Nella collana, che si inaugura con il superbo Taxi Driver a €6,90 - le successive a €11,90 - continuerà per altre uscite di cui solo e prime quindici già programmate come dal calendario consultabile

qui.

Notiamo subito con piacere la presenza dei film essenziali di De Niro, come Gli intoccabili, Novecento e Bronx - confidando che nelle successive uscite avremo anche Il Padrino II, C'era una volta in America e Il cacciatore - ma anche altri che onestamente potevano evitarsi, tipo The fan e Showtime.


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Distribuzioni Randage

di Ferdi Carcavallo

Niente da fare. La distribuzione cinematografica italiana ha deciso di non farci vedere I Magi randagi , il film - nelle premesse bellissimo - di Sergio Citti con Silvio Orlando e Gastone Moschin.
Girato nel 1996, passò per le sale italiane con una velocità scandalosa senza un minimo di promozione.
Oggi, dopo la morte del regista, sembrava dovesse vivere una seconda vita con una ridistribuzione (in una nuova edizione dello stesso Citti), ma anche questa volta si è trattato di una cometa.
Si ha come l'impressione che ogni tanto ci vogliano far sapere che questo film esiste privandocene della visione. Un atteggiamento che non saprei se definire crudeltà o istigazione a delinquere, dal momento che l'unico modo di vedere questo film rimangoni i canali illeciti.

Teniamo gli occhi aperti, quindi, casomai la cometa dei randagi dovesse passare nelle nostre zone e, finchè è on-line, godiamoci gli estratti del documentario su Citti Disperatamente vitale e le stupende musiche di Ennio Morricone sul sito web del film www.imagirandagi.it.

Oggi Citti avrebbe potuto godere sicuramente di maggiore visibilità se, nel rispetto del product placement, avesse fatto portare ai suoi magi dei cioccolatini. Ma so già la risposta romanesca che avrebbe dato ai produttori.


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26 gennaio 2006

Il Che c'è

Ai più storicamente distratti potremmo dire che CHE di Steven Soderbergh sarà il sequel de I diari della motocicletta di Walter Salles. Tornato da quell'estenuante ma affascinante viaggio su due ruote attraverso l'America Latina, il giovane medico argentino Ernesto Guevara de la Serna decide di dare una svolta alla sua vita dedicandosi alla lotta per la libertà del suo paese prima ancora che alla salute dei suoi simili, arruolandosi nelle fila dell'esercito del rivoluzionario Fidel Castro.

Sarà il portoricano Benicio del Toro ad indossare i panni del personaggio storico del novecento più gadgettato che si ricordi, mentre ad interpretare il comandante Castro sarà lo spagnolo Javier Bardem (Prosciutto prosciutto, Il mare Dentro).

Il film, che inizialmente doveva chiamarsi Guerilla, dovrebbe uscire entro il 2006, ma per ora, a parte delle foto di scena e alcuni nomi del cast (dovrebbe esseci anche Franka Potente) non se ne sa molto.


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Chi ha incastrato David Cronenberg?

di Ferdi Carcavallo

Una sorta di ufficialità la notizia l'ha rivestita nel momento in cui la bibbia del cinema (IMDB.COM) ha inserito il nome di David Cronenberg come regista di Io Uccido, il film tratto dall'omonimo best seller di Giorgio Faletti. Tuttavia, sono molti i progetti che affondano anche dopo essere stati comunicati da IMDB, ma a questo punto non ce l'auguriamo affatto. Se molti sono gli esempi di brutti film che hanno rovinato bei romanzi, è anche vero che quando a dirigere un film è un artista può succedere il contrario. Penso a Fellini, Kubrick, De Palma che spesso hanno creato capolavori partendo da libri di autori, non dico pessimi, ma che sicuramente non sono rimasti nella storia della letteratura. E poi, se c'è qualcosa di stupido è paragonare un film al libro, in quanto la caratteristica principale di un'opera letteraria, ossia la sensibilità dello scrittore che pervade il suo modo di raccontare e descrivere situazioni e sentimenti, deve per forza di cose essere reinterpretata con la sensibiltà del regista. In questo caso, quindi, la rilettura della storia del detective Frank Ottobre attraverso l'occhio visionario di Cronenberg non può che essere rigenerante. A meno che il regista, nella sua genialità, non vorrà tradurre in immagini la discontinuità della scrittura di Faletti che spesso obbliga il lettore a ritornare al capoverso per capire il senso di un periodo. Sarebbe interessante: un montaggio ricorsivo, scene che nel mezzo di un'azione si interrompono per ritornare alla scena precedente proseguendo in maniera più spedita e sicura.


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25 gennaio 2006

K come Kriminal (e KinemaZOne). Intervista a Max Bunker

Intervista a Max Bunker di Ferdinando Carcavallo

Io l'adolescenza l'ho passata a vedere film di Totò, ascoltare canzoni di Bennato (Edoardo) e a leggere i fumetti di Max Bunker. Qualunque lato strano della mia personalità trae origine, dunque, dalla miscela di questi tre ingredienti fondamentali. In effetti, a lunga distanza, devo dire che i tre personaggi hanno qualcosa in comune. Totò sta al cinema come Bennato alla musica e come Max Bunker ai fumetti.
Questa breve premessa iper-personale solo per farvi capire con quanta emozione sto ad introdurre l'intervista che KinemaZOne è riuscito ad avere con il grande (noster semper noster) Max Bunker.
Max Bunker è l’unico autore di fumetti italiani a scrivere ininterrottamente da 36 anni le storie di un suo personaggio. Dal 1969, infatti, Alan Ford esce nelle edicole italiane mensilmente con una nuova storia. Ma Alan Ford non è che una delle creature di Max. Oltre ai personaggi del gruppo TNT Max ha dato i natali ad icone come Kriminal, Satanik, Maschera Nera, Fouchè, Dennis Cobb, Daniel, Maxmagnus ed altri.
Nel fumetto Max Bunker, quindi, ha (re)interpretato tutti i generi, a cominciare dal noir. Negli anni ’60 in Italia il fumetto nero ebbe un boom incredibile. Tra tutti sopravvissero Diabolik, Kriminal e Satanik, ma i personaggi di Bunker si diversificavano dal ladro trasformista delle sorelle Giussani per la componente grottesca ed erotica.
Oggi Max Bunker, oltre a continuare ad occuparsi di Alan Ford, scrive gli episodi di tre sue nuove creature, Kerry Kross, Beverly Kerr e Padre Kimberly con le quali è tornato al genere noir-poliziesco degli esordi, come è evidente dalla lettera K ricorrente nei nomi, a ricordare Kriminal e SataniK.

KinemaZOne: Max, nei film su Kriminal di Umberto Lenzi e in quello su Satanik di Vivarelli, la componente grottesca e umoristica tipica dei tuoi personaggi non traspariva quasi per niente. Fu una scelta concordata o un fallimento dell’adattamento?
Max Bunker: I produttori di quei film vedevano i personaggi solo ed esclusivamente nell'ottica drammatica. L'ironia non era affatto gradita. Inoltre io ero molto giovane allora e non avevo grandi possibilità di trattativa.Il mito del "grande" Max Bunker non era ancora deflagrato.

KZ: Dopo Satanik il cinema non è stato nei tuoi pensieri per un po’, anche se si è parlato di una trasposizione cinematografica di Alan Ford ogni volta che qualche regista si è lasciato andare in citazioni più o meno esplicite (Kusturika, i fratelli Cohen). Ci racconti quanto in questi anni ci siamo andati vicino?
MB: Ci sono stati circa una ventina di produttori italiani e non che nell'arco del tempo mi hanno contattato per ottenere i diritti cinematografici di Alan Ford. Ho sempre rifiutato perchè penso che una valido film su Alan richiederebbe un budget multi milionario in euro e un cast stellare. Se c'è qualcuno che vuole osare l'inosabile sono pronto ad ascoltarlo.

KZ: Come Max Bunker nel 1982 hai diretto e prodotto il film “Delitti, amore e gelosia” con Saverio Marconi e Fiorenza Marchigiani . Come fu la cosa? Come mai finisti addirittura a dirigerti un film?
MB: Per una serie di situazioni favorevoli si era prospettata la possibilità di fare una esperienza cinematografica.Scrivere sceneggiature come le scrivo io dettagliate, quadro per quadro, guida dell'immagine, dialogo, equivale a una direzione registica. Ho goduto dell'ottima collaborazione del maestro della fotografia Marcello Gatti che sapeva interpetare alla perfezione la mia visione del racconto. Ci fu anche chi remava contro ma nel complesso è stato divertente.
KZ: Il film non fu molto ben distribuito, qual’era la storia. Quanto dei personaggi dei fumetti di Max Bunker c’era dentro?
MB: Il film non fu molto fortunato, come tutti quelli che uscirono in quel periodo di crisi profonda del cinema, specialmente quello italiano. Non c'era nessun personaggio di fumetti. La sceneggiatura la feci prendendola da un breve romanzo che scrissi anni fa "Il commissario Clerici" che è tutt'ora inedito.

KZ: Come Luciano Secchi, il tuo alter ego letterario, al cinema ci sei andato alla grande. Nel 1978 Bruno Corbucci diresse Renato Pozzetto e Enzo Cannavale in “Agenzia Riccardo Finzi, praticamente detective” tratto da un tuo romanzo giallo, già premio Bancarella. Il film ebbe un certo successo (era il periodo d’oro di Pozzetto), ma come esperienza dal tuo punto di vista?
MB: Pozzetto veniva dall' insuccesso del film "Saxofone" e si impegnò non poco per entrare dentro nel personaggio di Riccardo Finzi che per certi versi gli stava bene addosso. Il film finì terzo negli incassi dell'anno.
KZ: Oggi il fumetto sta rivivendo un buon periodo, anche grazie al cinema americano che lo ritiene la principale fonte di ispirazione. Pensi che gli adattamenti cinematografici dei comics possano essere efficaci anche quando non si tratti di Supereroi?
MB: Non è questione di super-eroi o minor-eroi , è questione di quanti soldi si investono nel progetto. Come ho già detto su Alan Ford se il budget fosse ricco come dovrebbe essere, verrebbe fuori un film ultra-efficace.

KZ: Con i tuoi personaggi più recenti, Kerry Kross, Padre Kimberly e Beverly Kerr sei tornato al giallo. Si tratta, in effetti, di personaggi molto ben definiti che ben si adatterebbero ad una fiction, magari un serial televisivo. Hai mai avuto proposte in tal senso?
MB: Per Kerry Kross un paio di proposte, tutte e due dagli USA: Una per una serie televisiva (sfumando molto sulla omosessualuità del personaggio) e un'altra per un film. Il discorso è tutt'ora aperto. Stesso discorso per Beverly Kerr e Padre Kimberly che interessano molto un produtore italo-americano che li ha opzionati. Beverly aveva suscitato un certo interesse in un produttore francese. Niente da segnalare dall'Italia.
KZ: Cinema a parte, quali sono i progetti di Max Bunker per far conoscere i propri capolavori ad un pubblico giovane più vasto?
MB: C'è una sola chiave per aprire un discorso più vasto, quella del prezzo di vendita che deve essere molto contenuto e con questi chiari di luna è una cosa un po' ardua ma non impossibile. Ho in mente e sto già facendo i primi sketch, un nuovo personaggio. L'unico handicap è il tempo. Purtroppo una giornata ha solo 24 ore.

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24 gennaio 2006

Viuuulente, putente, tremendamente... Terrunciello

Quando il trash aveva una sua etica...


In contemporanea con l'uscita nei cinema di Eccezziunale veramente. Capitolo secondo... me, in cui Diego Abatantuono veste di nuovo i panni dei tre tifosi sfegatati di Milan, Inter e Juventus, Un Mondo a Parte pubblica un volume interamente dedicato al personaggio del "Terrunciello", una delle icone più popolari della commedia italiana degli anni ottanta. Viuuulente, putente, tremendamente... Terrunciello, curato da Paolo Fazzini e Andrea Pergolari, è un vademecum esilarante sull'origine e le gesta di una maschera entrata di diritto nell'immaginario del pubblico italiano: nato negli anni settanta sul palco del Derby, il celebre cabaret milanese, il "terrunciello" muove poi i primi passi in televisione e al cinema (Saxophone, con Pozzetto, Arrivano i Gatti, con i Gatti di Vicolo Miracoli), per arrivare nel 1981 all'affermazione definitiva con I fichissimi, di Carlo Vanzina, che inaugura una fortunata serie di film al celebre grido di "viuuulenza!". Capigliatura folta e arruffata, baffi, sguardo minaccioso e, soprattutto, inconfondibile accento pugliese aperto a innumerevoli giochi linguistici, Abatantuono costruisce un personaggio che in poco tempo diventa leggendario e che tuttora gode di un solido statuto di culto tra le nuove generazioni.
Edito per la collana Cult (già inaugurata dal Monnezza di Tomas Milian), il libro propone, oltre alle dettagliatissime schede dei film, una serie di interviste (tra gli altri, alla fedele spalla Mauro Di Francesco, a Pipolo, a Enrico Vanzina), le biografie di tutti i collaboratori e degli attori che hanno gravitato intorno al "terrunciello", e, naturalmente, una raccolta corposa delle battute, dei non-sense e delle canzoni più divertenti del Nostro.
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Brokeback Mountain

di Mamoru Chiba
Preceduto da un inutile “I segreti di” deciso dai distributori italiani (forse per per ammantarlo di un’ombra di morbosità e lasciare intendere di avere a che fare con qualcosa a metà tra I segreti di Twin Peaks ed I peccatori di Peyton Place), ecco finalmente nelle nostre sale il nuovo, premiatissimo e in odore di Oscar, film di Ang Lee, Brokeback Mountain.
Tratto da un bel racconto di Annie Proulx (Gente del Wyoming, edito da Baldini e Castoldi), il film racconta la storia dell’amore inatteso che nasce tra i due giovani cowboy precari Ennis (un sorprendente Heath Ledger totalmente in parte con il personaggio) e Jack (Jake Gyllenhaal) a guardia di un enorme gregge di pecore sulla solitaria montagna di Brokeback nel 1963. Un amore che li accompagnerà per venti anni.
Aspettando l’arrivo del film (nel resto del mondo era uscito già il 9 dicembre scorso), avevo letto il racconto originale che mi aveva commosso fino alle lacrime. Temevo ora di restare deluso dal film ed invece è davvero sorprendente (a parte un paio di nuove situazioni) la sua fedeltà al racconto.
E’ una straordinaria storia d’amore, di vite non vissute e di desideri frustrati, di errori irreparabili e di rimpianti.
Anche Ang Lee ha pianto leggendo il racconto della Proulx: “Ho capito che era un film che andava fatto, un dramma sull’amore nascosto e perciò più prezioso, un sentimento tremulo nel vento della vita: proibito, perduto, rimpianto. Considero Brokeback un luogo dell’anima, un posto in cui ciascuno di noi può immaginare di tornare: Jack ed Ennis non hanno una vita reale, tutto quello che hanno sono i pochi giorni rubati sulla montagna. Questo è provocatorio, ispirante, esistenziale: riguarda più l’idea dell’amore che l’amore in se stesso”.
Heath Ledger e Jake Gyllenhaal dopo la lettura del copione hanno subito accettato la parte. Ha detto Gyllenhaal: “Del film di Ang Lee mi è piaciuto subito il fatto che, prima di essere una storia omosessuale, era una meravigliosa storia d’amore. Al cinema consideriamo solo i rapporti tra uomini e donne, si punta su quello che è convenzionale senza pensare che quel che conta è quel che desideriamo veramente. L’amore va oltre quello che la gente considera perversione, è qualcosa che di per sé ti rende genuino e felice. E queste due persone sono follemente innamorate, anche se la cosa è avversata dalla società e dai loro familiari.
Oggi è lunedì e pensavo che lo spettacolo non sarebbe stato affollato, invece il gran parlare che se ne è fatto sui media deve avere funzionato e c’era tanta gente. Giovani, anziani, coppiette abbastanza “ruspanti”. Ho temuto di non riuscire a godermi il film. Ed infatti all’inizio si sono sentiti diversi commenti dei ragazzi venuti soltanto per accompagnare le loro ragazze “intellettuali”, e le loro risate grasse quando la moglie di Ennis gli chiedeva di portare del pesce anche per lei e le figlie (i due amanti si allontanavano da tutti dicendo di andare a pesca).
Quando però la storia è entrata nella sua parte più drammatica sono ammutoliti. E non perché si fossero addormentati! Mi sono guardato intorno ed erano tutti conquistati dalla storia.
A quasi vent’anni dall’uscita nelle sale di un altro film di amori gay, Maurice di James Ivory dal romanzo di E.M.Forster (e ancora a Venezia, i due protagonisti, James Wilby e l’allora semi-sconosciuto Hugh Grant, vinsero la Coppa Volpi come migliori attori), ecco un nuovo portabandiera della tolleranza sessuale.
Ovviamente ne sono molto felice” – ha detto Annie Proulx - “Non pensavo che questa storia avrebbe assunto una valenza simbolica così forte. Nello stesso tempo non è che sto lì con il fiato sospeso ad aspettare che cambi il mondo. Penso solo che ci sia un grande bisogno di storie, e quindi di film, che parlino di empatia, che aiutino la gente a capire, a capirsi. La mentalità di gran parte degli americani, quelli di frontiera in particolare – e la frontiera in America è molto più grande e più presente di quanto non si pensi – è tragicamente ristretta”.
Non stupisce che il film sia stato boicottato negli Stati più conservatori degli Usa come Utah (lo Stato dei Mormoni) e Washington, dove molti esercenti si sono rifiutati di farlo uscire nelle sale ritenendolo scandaloso.
In Italia il film è vietato ai minori di 14 anni, quando altri come Saw 2 sono classificati per tutti. Dopo che lo stesso divieto è stato affibbiato anche a Reinas, viene il sospetto che i nostri censori siano un tantino omofobi.
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23 gennaio 2006

I Nazi-Zombie che minacciano l'Olanda

Che dire? Gli Zombi ce li hanno proposti in tutte le versioni. Li abbiamo visti ballerini ad opera della coppia Landis/Michael Jackson, poi sono arrivati i dementi di Peter Jackson, i ribelli dell'ultimo Romero fino a quelli politicamente impegnati di Joe Dante.
Ma ecco che un'ennesima interessante variazione su tema arriva dall'Olanda dove il regista Richard Raaphorst da ormai tre anni sta cercando di ultimare Worst Case Scenario.
La trama di questo fantasioso e affascinante horror ricorda un po' i b-movies degli anni '80. Alla fine dei mondiali di calcio 2006 tra Germania e Olanda scoppia una cruenta guerra in cui i tedeschi sfoderano una micidiale arma segreta: i corpi riesumati del nazisti della seconda guerra mondiale, per quanto possibile ancora più cattivi degli originali. In attesa di terminare la produzione, la Gorehound rende disponibile un bel trailer sulla rete, oltre a commercializzare un DVD contenente il solo making-off. Accontentiamoci per ora, sperando di non avere un secondo Lost in La Mancha.

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22 gennaio 2006

Ti amo in tutte le lingue del mondo

di Ferdi Carcavallo

I film di Leonardo Pieraccioni sono tutti uguali?
La sua è una comicità banale e senza spessore?
Le trovate comiche sono prese pari pari dai repertori di illustri colleghi come Troisi, Benigni, Verdone?
Ebbene sì, ma è anche vero che oggi come oggi l'unico cinema brillante-leggero-divertente che viene prodotto in Italia è il suo.
Se facciamo il paragone con le produzioni di Boldi/De Sica, Aldo, Giovanni e Giacomo, Verdone e il bravo Salemme, dobbiamo riconoscere che le "cose" di Pieraccioni sono sicuramente più fresche, leggere e, soprattutto, oneste. E quello che ammiro di più di Pieraccioni è proprio l'onestà. In In undici anni di cinema (I laureati è del 1995) Pieraccioni non ha mai provato a fare un cinema diverso da quello che sa fare. Conosce benissimo i suoi limiti e i suoi punti di forza e li utilizza con estrema abilità e intelligenza in modo da non commettere passi falsi. E questo, a mio avviso, è un modo di fare rispettoso del pubblico. Non ci aspettiamo niente di nuovo da Pieraccioni, ma solo conferme e divertimento pulito. E di divertimento pulito in questo Ti amo in tutte le lingue del mondo ce n'è in abbondanza. La bella latina di turno è Marjo Berasategui, una bellezza non acerba stavolta dal momento che Leonardo Pieraccioni ha (appena) superato la soglia dei quaranta e non può continuare a ballare il flmenco in eterno con le teen ager. Nel film gli sono affianco gli affezionatissimi Papaleo (stavolta evitabile) e Ceccherini in un ruolo diverso dal solito (un frate cappuccino), mentre le guest star sono stavolta Francesco Guccini nel ruolo del preside del liceo dove il protagonista insegna ginnastica e un Giorgio Panariello sorprendente per i toni pacati che lasciano sempre la scena all'attore principale.

Verrebbe da dire "Pieraccioni continua così che non sbagli", ma sono convinto che qualcosa di più di un ottimo prodotto commerciale l'attore toscano possa fare. Forse gli servono soldi e coraggio.

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20 gennaio 2006

Fuori fuoco

"Fuori Fuoco – Cinema, ribelli e rivoluzionari”, toccante e originale riflessione sulla lotta armata in Italia degli anni ’70 e ’80 attraverso il cinema, prosegue il suo tour di proiezioni italiane.
Dopo la partecipazione al “RIFF”, al “Bellaria Film Festival”, al “Roma Doc Fest”, al “Napoli Film Festival”, al “Premio Libero Bizzarri” e la proiezione alla Cineteca di Bologna e di Pordenone, il documentario sarà proiettato, alla presenza dei registi:

Giovedì 2 febbraio 2006, ore 17.00
CINETECA DI MILANO
Spazio Oberdan - V.le Vittorio Veneto, 2 angolo P.zza Oberdan

Venerdì 10 febbraio 2006, ore 18.00
CINETECA DI MILANO
Cinema Gnomo - Via Lanzone, 30 - tel 02804125

Venerdì 10 febbraio 2006, ore 21.00
CINECLUB ALPHAVILLE - Via Del Pigneto, 283
info@cineclubalphaville.com

Martedì 28 febbraio 2006, ore 20.30
CINETECA DI FIRENZE - Via Reginaldo Giuliani, 354 - Tel 055450749
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19 gennaio 2006

A qualcuno piace [il caffè Lavazza] caldo

di Ferdi Carcavallo
Ladri di saponetteSecondo voi è peggio un film interrotto per uno o più spot pubblicitari o un film contaminato dagli sponsor?
Onestamente non saprei. Forse è peggio la seconda.
Almeno l'interruzione pubblicitaria in qualche modo l'avevamo accettata e faceva parte del gioco della televisione commerciale. E poi, soprattutto, era evitabile. Bastava che invece di vedere un film alla televisione lo si noleggiava, ci si abbonava ad una Pay TV o - al limite, faccio per dire - in ultima analisi si poteva anche andare a cinema, e si evitava di essere sballottolati di tanto in tanto fuori della magia della finzione cinematografica.
Ma oggi, con la liberalizzazione di quello cha chiamano product placement, la pubblicità non è più una parentesi che si apre e si chiude ad intervalli più o meno regolari durante il film, ma ne diventa parte integrante, contaminandola come una droga.
Da un momento all'altro ci troveremo a scoprire che parole, sguardi, inquadrature del film che guardiamo sono lontane dalla mente del regista e ma molto vicine alle tasche dei produttori. Accadeva anche prima, ma in maniera carbonara spingendogli autori a cercare scappatoie anche geniali per compiacere gli sponsor, mentre oggi assissteremo (temo) a veri e propri spot di un paio d'ore.
Vivremo situazioni che fino a ieri sembravano paradossali, come in Ladri di Saponette di Maurizio Nichetti in cui i personaggi degli spot invadevano un film neorealista portando lo scompiglio in una povera famiglia del dopoguerra.
Si diceva che erano internet e il P2P ad aver ucciso il cinema. Mi sa che il caso è da riaprire...


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17 gennaio 2006

I film su Capitan America (Re)

di Ferdi Carcavallo

Il serial TV di Capitan America

Capitan America è uno dei supereroi americani più vecchi. Nasce nel 1941 ad opera di Joe Simon e del disegnatore Jack Kirby per la casa editrice Timely prima che questa diventi la Marvel. Dato il momento storico particolare (la seconda guerra mondiale) Capitan America diviene ben presto un simbolo della libertà, nemico giurato di nazisti e comunisti.

Il personaggio viene poi ripreso da Stan Lee, sempre con Jack Kirby, negli anni sessanta, che lo porta alla stregua dei supereroi moderni della Marvel Comics. Nella saga Mavel Capitan America viene ritrovato ibernato dopo venti anni da Namor (Sub Mariner) che lo consegna ai Vendicatori.

Il film di Rob Holcomb - www.steveenglehart.comIn tanti anni Cap ha avuto una serie televisiva, cartoni animati e diversi film, l’ultimo dei quali un B-movie del 1992 diretto da Albert Pyun e odiato dai fan del fumetto, in cui compariva anche una giovanissima Francesca Neri. La storia del film partiva dall'Italia durante la Seconda Guerra mondiale, in cui un ragazzo italiano molto dotato intellettivamente veniva sottoposto ad esperimenti del nazisti per potenziare le sue capacità. L'esperimento raggiungeva il suo scopo rendendo il piccolo fortissimo e intelligentissimo ma lo rendeva un mostro rosso senza pelle e con un indole malvaia che da adulto diventava il terribile Red Skull (Il teschio Rosso).


Il film di Albert Pyun - www.tegneseriemuseet.dk Per quanto non all’altezza dei film fantastici della Marvel ai quali siamo abituati oggi, il film di Pyun era abbastanza curato almeno nella fedeltà al fumetto, nel costume e nello scudo del supereroe e nel trucco di Teschio Rosso. E può essere addirittura considerato un buon film se lo si paragona al precedente di Rob Holcomb (regista di fiction tra cui E.R.) del 1979 dove il leggendario eroe altri non era che un centauro palestrato e burino vestito in maniera ridicola con uno scudo in plexiglass utile più come pirofila che come arma. Negli ultimi anni si è parlato più volte di un ritorno di Capitan America al cinema, prima interpretato da Val Kimmer, ora invece sembrano essere più certi i nomi di Brad Pitt, nel ruolo di Cap e Anthony Hopkins in quello di Red Skull. Su IMDB è fissato per il 2007 la produzione del film, ma senza indicazione di cast. Probabilmente, però, per quel periodo il boom dei supereroi al cinema sarà superato, e il povero Capitan America sarà ancora una volta ibernato.



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Iron Man: L'uomo di ferro della Marvel

La storia di questo Super Eroe Marvel, nato anche lui dalla fantasia di Stan Lee nel 1963, è davvero particolare. Il miliardario americano Tony Stark a causa dello scoppio di una mina in una fabbrica di armi in Vietnam, è condannato a vivere solo pochi mesi ma essendo uno dei più grandi ingegneri meccanici al mondo si costruisce una armatura di ferro che gli consente di tenere in vita il suo cuore. Tale armatura, oltre a tenerlo in vita, gli dà anche dei poteri particolari, come il volo, i raggi repulsori e la forza eccezionale. Il povero Stark, per quanto potentissimo, non può però togliersi l'armatura, a parte il casco e i guanti, pena la morte.Quindi decide di assumere l'identità di IRON MAN e spacciarsi come la guardia del corpo di Tony Stark.
Questa bene o male la storia del personaggio dei fumetti che l'estate del 2007 dovrebbe approdare al cinema seguendo i colleghi della Marvel Spiderman, Hulk, Daredevil, Elektra, Fantastici 4 e X-Men.
La regia del film sarà affidata a Nick Cassavetes, figlio del celebrato regista-autore John Cassavetes e dell'attrice Gena Rowland, mentre la sceneggiatura sarà di David Hayter, Alfred Gough e Miles Millar.

Cassavetes ha alle spalle film con budget limitati come John Q e The Notebook, e per la prima volta si troverà a dirigere un film con un budget cospicuo e numerosi effetti speciali, cosi come per la maggior parte dei film tratti da fumetti.
Riguardo al casting, inizialmente si era parlato di Tom Cruise nella parte di Tony Stark, ma una volta che il divo americano ha dichiarato la sua estraneità al progetto più niente è stato diffuso dalla Angry Films. La rivista americana
Wizard, specializzata in comics, ipotizza però un casting in cui Oded Fehr (The Mummy, Resident Evil:The Apocalypse) interpreta Tony Stark mentre Dolph Lundgren è Crimson Dynamo.


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13 gennaio 2006

PACS. L’unione che mancava.

di Mamoru Chiba
Forse nella giornata più piovosa delle feste di fine anno, ho visto nell’unica sala napoletana che lo proiettava (ma ancora oggi resiste) il film dello spagnolo Gomez Pereira, Reinas. Sottotitolo italiano: il matrimonio che mancava.
E’ vero le storie che si intrecciano hanno sullo sfondo il primo matrimonio gay nella Spagna di Zapatero, ma questo è solo un pretesto per parlare delle vere protagoniste del film, le Regine del titolo, che non sono delle drag-queen come qualcuno potrebbe pensare ma le madri di alcuni promessi sposi.
La commedia scivola via leggera con un tono tra la commedia sofisticata e patinata americana e crisi di nervi all’Almodovar, e tra le mamme degli sposi ci sono le sempre brave Carmen Maura e Marisa Paredes impegnate in personali “conflitti di classe”.
Ho saputo successivamente che il film è stato distribuito in Italia con il divieto ai minori di 14 anni. Tra le motivazioni della censura ci sarebbero la tematica ed una scena di sesso ritenuta troppo esplicita. Io mi sono scervellato a ricordare quale potesse essere, ma non mi sono dato una risposta. E forse è sicuramente lecita la domanda del distributore, Andrea Occhipinti (che compare anche in un cameo del film): “Perchè in questo Paese non sono vietati ai minori film volgari e violenti mentre quando si tratta di omosessualità arrivano le censure?". Intanto domani si svolgerà a Roma una manifestazione a favore dei PACS e magari in futuro si gireranno anche in Italia film con sullo sfondo unioni civili, etero o gay che siano.


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11 gennaio 2006

The passion of the Clerks

Ecco, questo è proprio un sequel che non mi sarei aspettato. Ed è anche un sequel che mi interessa moltissimo. Si tratta proprio del seguito di Clerks, il film indipendente che segnò l'esordio alla regia di Kevin Smith del 1994.
Girato con mezzi e capacità quasi dilettantesche ma con tanto talento da diventare fenomeno e avviare Kevin Smith alla conquista di Hollywood, Clerks, assieme al quasi contemporaneo Le Iene, gettava le fondamenta di una nuova cinematografia metropolitana, basata sull'esagerazione e il paradosso nei dialoghi piuttosto che sull'impatto visivo.
Oggi questo modo di fare cinema è già un ricordo, avendone prese le distanze gli stessi fondatori (Tarantino e Smith, appunto), per cui sembra alquanto singolare che Smith si sia deciso a dare ancora voce ai commessi svogliati del New Jersey. I protagonisti sono sempre Dante e Randall, un po' invecchiati e impiegati in un fast-food, ma ancora perseguitati da Jay e Silent Bob e la loro particolarissima filosofia di vita allucinata ma spesso illuminante.
Curioso il teaser con la musica de La passione di Cristo già citato nel titolo del sequel.


Kevin Smith, Clerks

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The demon barber


Johnny Depp e Tim Burton ancora insieme per girare un horror, e stavolta non è animato e nemmeno un remake di un classico Hollywoodiano. La storia pero' è molto nota, almeno nella cultura anglosassone.
Uno di quei personaggi tipo Jack lo squartatore, a metà strada tra mito e realtà, Sweeney Todd è un barbiere che in piena epoca vittoriana pratica lo sgozzamento dei propri clienti per poi preparare dei gustosi pasticci di carne assieme all'amata consorte.
La storia macabra e l'ambientazione gotica dell'Inghilterra del XIX secolo sembrano andare a pennello con lo stile burtoniano, anche se inizialmente il progetto doveva essere portato avanti da Sam Mendes.

La notizia comunque non è ancora ufficiale ed è stata diffusa da
Bloody Disgusting (ma a KinemaZOne è arrivata via Ignelzi e Horror Magazine).


Tim Burton, Johnny Depp, Sweeney Todd

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09 gennaio 2006

Dance of the Dead (MOH #3)

di Ferdi Carcavallo

Tobe Hooper è un regista che ha trattato tutti i sottogeneri dell'horror, inventando sia il filone splatter con quel capolavoro del genere che è Non aprite quella porta che quello tecnologico con Poltergeist.
Quindi, dal suo intervento in Masters of Horror, non ci si poteva che aspettare qualcosa di originale, o almeno di insolito. Ed infatti, in questo Dance of the Dead, Hooper dà il suo tocco personale presentandoci una storia fatta di violenza, necrofilia e profanazioni varie.
In un 2008 post terza guerra mondiale, i giovani sbandati di una provincia americana contrabbandano sangue rubato per conto di un diabolico proprietario di un locale (Robert Englund) che definire equivoco è un eufemismo dove ha luogo uno spettacolo di danza molto singolare. In questo contesto si inserisce la storia familiare di una ragazzina orfana e della madre. Dire di più sarebbe svelare troppo.
Quello di Hooper è horror al 100%, irriverente, scorretto e blasfemo quanto basta a non offendere più di tanto le coscienze degli spettatori e contemporaneamente a sfuggire al "taralluccievinesimo" che incombe sempre sulle produzioni blockbuster.

Masters of horror, Tobe Hooper, Robert Englund

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07 gennaio 2006

Homecoming (MOH #6)

di Ferdi Carcavallo

Sono attivisti, pacifisti e politicamente impegnati gli zombi di Joe Dante protagonisti di Homecoming, l’episodio numero 6 della serie televisiva americana Masters of Horror. Escono dalle tombe non per cibarsi di carne viva diffondendo la maledizione dei non morti, bensì per esercitare ancora una volta il diritto di voto, unico modo per trovare la pace eterna.
La trama del minifilm di Dante è tutta qui, semplice, suggestiva e molto, ma molto poco politically correct: i soldati americani vittime di una guerra preventiva contro un paese del medio oriente accusato falsamente dal governo USA di possedere armi nucleari tornano come zombi per fare propaganda politica contro la ri-elezione del presidente USA che ha voluto il conflitto. La fine è quanto di più realistico si possa immaginare, per quanto più terribile di qualsiasi trama horror, ma con un messaggio di speranza.

In effetti, a ben vedere, il personaggio dello Zombie è sempre stato oggetto di metafore politiche, da Ragona fino all'ultimo Romero (La terra dei morti viventi) in cui i morti viventi si coalizzano per attaccare e sterminare la città bunker dei ricchi e potenti vivi che li detengono in una sorta di apartheid. Dante ha avuto il coraggio di andare al di là della metafora generalista fino a calare i suoi non-morti in una realtà politica che per quanto attuale sembra davvero frutto delle elucubrazioni fantapolitiche di uno scrittore horror.
Il risultato è un
messaggio politico molto efficace in quanto superamento del confine del cinema militante di film-documentari alla Michael Moore.
Dubito che sia possibile vederlo a breve in Italia, come per gli altri episodi della serie.

Masters of horror, Joe Dante, Zombie

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